DEMOCRAZIA

Si definisce democrazia quel sistema di gestione della comunità in cui le decisioni politiche e di governo vengono prese in conformità alla volontà della popolazione. O comunque della sua maggioranza.

Realizzare questo tipo di democrazia è facile, in una piccola comunità, quando tutta la popolazione, riunita in piazza, deve decidere, per alzata di mano, chi deve portare al pascolo le pecore, scegliendo fra il pastore A e il pastore B.
Il problema diventa più complesso quando la comunità decide che si devono abbandonare le caverne e tutti devono avere un’abitazione in forma di capanna.
Deve anzitutto essere individuato un gruppo di esperti, che definiscano il tipo di capanna, la localizzazione, i materiali e il programma attuativo, e provvedano poi alla realizzazione del progetto.
Deve in seguito essere identificato un soggetto autorevole che coordini e controlli le operazioni, risolvendo eventuali e inevitabili problemi di priorità e di organizzazione.
Si è così avviato quel processo che, in embrione, realizza una democrazia in senso attuale, nella quale si concretizzano essenzialmente tre componenti:
– la popolazione, che deve esprimere il proprio parere, teoricamente in tutte le questioni che riguardano la conduzione della comunità;
– un gruppo di esperti o di volonterosi che operino per realizzare gli obiettivi comunitari;
– un’autorità di coordinamento e di governo dei progetti comunitari.

Ma è a questo punto che nascono i problemi.

Popolazione
– Chi deve partecipare alla fase decisionale?

È facile dire che tutti devono partecipare, ma i neonati in fasce, i lattanti e gli infanti possono e devono esprimere un voto? La questione viene risolta con una prima offesa al concetto di democrazia, perché si nega il voto a coloro che non hanno raggiunto la maggiore età (altro concetto arbitrario) anche quando la questione li riguarda in modo specifico, come la distribuzione di latte e di grano. Ma non importa: decidono i genitori, o almeno i capo famiglia, o quantomeno coloro che godono di maggior credito (meglio se monetario).
Tenuto conto poi del fatto che il bestiame deve essere accudito anche durante le assemblee e che molte donne devono restare a casa ad accudire i lattanti e i malati, può darsi che l’idea di far votare solo i capifamiglia sia decisamente la migliore, lasciando ad un livello di democrazia inferiore, all’interno della famiglia, la decisione democratica su cosa deve sostenere il capofamiglia nell’assemblea generale. Sperando che il concetto di democrazia sia entrato anche nella famiglia. Ma la collegialità e universalità del voto si vanno ancora sgretolando.
Anche gli stranieri presenti, occasionalmente o permanentemente, non è detto che abbiano il diritto di esprimere opinioni politiche in un paese che non è il loro e del quale non esprimono in pieno l’identità.
– Possono tutti decidere su tutto?
Certamente no, perché sulle tecniche costruttive delle capanne o sul tasso di sconto pochissimi hanno basi conoscitive adeguate. E far decidere ad una massa indifferenziata, con referendum, se mantenere in vita o sopprimere un Ministero dell’Agricoltura, attiva un meccanismo decisionale che difficilmente può tener conto delle molteplici sottigliezze del problema.
È opportuno quindi che la comunità deleghi ad un gruppo ristretto di persone competenti il compito di prendere decisioni “democratiche”. Si attua così il secondo importante vulnus all’idea di democrazia, perché si delega ad altri il potere delle scelte.
– Le scelte della popolazione sono sempre “democratiche”?
Frequentemente no, perché ogni popolazione è costituita da “minoranze”, come i giovani, i disabili, gli anziani, gli studenti, i malati, i ricchi, i laureati, … Il meccanismo di espressione di una certa decisione pubblica è in genere determinato da alleanze implicite o esplicite di alcune minoranze, che diventano così maggioranze, per far prevalere le proprie posizioni, senza garantire la tutela di tutti gli altri, che sono diventati minoranza. Devono nascere allora raggruppamenti, partiti, sindacati, confraternite, cartelli o alleanze, che diano corpo alle maggioranze o tutelino le minoranze ma aprendo il campo a manipolazioni.
Il sistema democratico assembleare si allontana, forse per volontà di qualcuno ma anche per una logica intrinseca delle comunità che vogliono governarsi.

Esperti – o aristocratici?
– Come individuare gli esperti?

Il nome qui usato di “esperti” è certamente equivoco e storicamente si usa il termine “aristocratici” che in origine non significa “nobili” o qualcosa di simile ma chi è dotato di “migliori capacità”.
Possono essere genericamente scelti dalla popolazione, come suoi rappresentanti, ma in generale emergono dalla massa per evidenti competenze e per disponibilità a operare per l’interesse comune.
Si determina così la tendenza di questi “esperti” a consolidare la propria posizione nella comunità, tendenza spesso confermata dalla popolazione stessa che tende a identificare in loro un gruppo di individui capaci di interpretare le esigenze generali. Essi meritano pertanto di restare in una classe sociale più o meno definita, o una casta, con la missione di mediare, per professione e per vocazione, fra la volontà popolare e la fase di attuazione della stessa.
Si genera così un ulteriore alterazione del concetto di democrazia, perché le molte scelte tecnico-politiche della vita pubblica sono delegate a una fascia separata della popolazione.
– Possono gli aristocratici esperti decidere su tutto?
Evidentemente no. Le varie dinamiche del sistema politico reale, nelle nazioni che si considerano democratiche, tendono ad orientare la popolazione verso la scelta di individui capaci, mentre i problemi collettivi variano in una tale gamma di settori, dalle pecore ai sistemi satellitari, da far comprendere che una competenza di questi aristocratici in ogni settore delle pubbliche decisioni è concretamente impossibile.
La ristretta confraternita di questa classe di mediatori si apre allora alla penetrazione da parte di esperti ancor più esperti, che cercano di istruire, orientare e dirigere coloro che rappresentano la popolazione, in base a valutazioni che possono non aver nulla a che fare con la volontà della comunità.

Il sistema democratico assembleare sembra ormai un ricordo lontano, ma, per fortuna, un organo superiore veglia su tutto: il presidente, o governatore, o monarca, o coordinatore, o grande fratello, o simili.

Il coordinatore – o capo
– Come emerge dalla comunità l’autorità di coordinamento?
Nelle comunità primitive e non troppo numerose il capo emerge tendenzialmente per la sua forza e la sua saggezza, un binomio dimostrato sul campo con l’assunzione storica di scelte valide e con l’esercizio di una certa energia nel sostenerle.
Nelle comunità più vaste, dove la popolazione percepisce più facilmente l’apparenza che la sostanza, si rischia di scegliere come capo, in forma assembleare, chi cavalca meglio e chi canta meglio, ovvero qualcuno che incarna le proprie inconsce aspirazioni, i propri sogni o ideali. Senza poter veramente apprezzare se la persona in questione ha intimamente le qualità richieste dal governo della popolazione.
– L’autorità di coordinamento può avere competenze su tutto?
Certamente no. All’autorità di coordinamento si richiedono capacità trasversali, lasciando agli esperti (gli aristocratici) le realizzazioni concrete ma affinando invece i sistemi di controllo interdisciplinari e le capacità di composizione di inevitabili contrasti nella realizzazione dei progetti.
È logico quindi che il capo o coordinatore emerga per un meccanismo diverso: o perché appartenente ad una casta, o dinastia, o partito, che abbia mostrato nei secoli la capacità di esprimere uomini adeguati; oppure per un processo elettivo che, per quanto appaia lasciato alla base della volontà popolare, viene controllato e determinato da gruppi di opinione (partiti) o di potere (lobbies) che possiedono un’adeguata forza di convincimento, esplicito od occulto.

Nell’un caso e nell’altro la decisione democratica e diretta delle piazze del villaggio si ormai persa nei molteplici vicoli di quella cosa che chiamiamo politica, e non democrazia.